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LA POLITIQUE DES RELIQUES DE CONSTANTIN A SAINT-LOUIS
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LA POLITIQUE DES RELIQUES DE CONSTANTIN A SAINT-LOUIS

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Date d'ajout : lundi 19 décembre 2011

par Paolo Golinelli

STVDI MEDIEVALI, Serie Terza, Anno LII – Fasc. II, 2011

Sono molti anni che Edina Bozóky ha posto al centro della sua attenzione le reliquie dei santi, le inventiones e le loro traslazioni, in una dozzina di studi specifici e nella collaborazione con Anne-Marie Helvétius nella cura degli atti del convegno di Boulogne-sur-Mer su Les reliques. Objets, cultes, symboles (Turnhout 1999). Con questo libro, la studiosa rielabora alcune di quelle ricerche e le integra in un discorso complessivo e di lunga durata, che va dal ritrovamento della croce da parte della madre di Costantino, Elena,alla straordinaria raccolta di reliquie (soprattutto relative alla passione di Cristo) fatta da san Luigi IX, re di Francia. L'assunto è la funzione politica delle reliquie e il ricorso ai loro poteri per la legittimazione e l'affermazione delle autorità che hanno dominato nella cristianità d'Oriente e d'Occidente. Il discorso si dipana con grande chiarezza e coerenza, partendo dall'origine del culto per le reliquie, dal rispetto portato al corpo dei martiri, alla sacralità dei luoghi ove sono sepolti, ai prodigi che si manifestano quando un corpo santo viene scoperto: la credenza nelle reliquie si stabilizza nel IV secolo, in Ilario di Poitiers, come in sant'Ambrogio e in Vittricio di Rouen, men­tre sant'Agostino esita e attribuisce i miracoli all'intercessione dei martiri, non ad una loro attività. Pian piano, però, si assegnano ai corpi santi elementi soprannaturali, come l'odore soave che da essi promana, o le luci che contornano le apparizioni di santi, o i liquidi che sgorgano dalla loro tomba (oli, sorgenti) che ne alimentano il culto. Naturalmente non tutte le reliquie hanno il medesimo valore: c'è una gerarchia tra esse e naturalmente la pre­minenza va a quelle che più ricordano la passione del Signore: il legno della croce, la corona di spine, la sacra lancia che trapassò il costato di Cristo, le immagini acheropite (non fatte da mano umana) del Suo volto (il mandylion di Edessa, il velo della Veronica, la sindone). Il culto porta poi alla fabbricazione di reliquiari, che si riproducono in sarcofagi in miniatura, cassette in metallo prezioso o avorio, stauroteche per il legno della Croce, statue reliquiari con particelle del corpo santo, teste coronate, bracci benedicenti, e così via.
Nel bisogno generale di rassicurazione si diffonde la credenza in una speciale protezione che verrebbe dalle reliquie, la stessa che fornivano nella religione pagana i penati alle famiglie; contro questa privatizzazione delle reliquie, la Chiesa reagisce ordinando che esse non siano collocate in piccoli oratori rurali, ma dove ne sia assicurata la venerazione col canto di chierici. Ciò non impedisce il diffondersi di reliquie-amuleto, usate come philacteria per allontanare calamità naturali o anche semplici malattie. Quest'uso privato delle reliquie viene ben presto superato dall'attività dei vescovi, nel procacciare santi patroni per la loro città: protettori celesti che la difendano al pari delle mura, come si ricava dalle laudes dvitatum dei secoli VIII e IX (Milano e Verona). Le reliquie assumono allora un interesse per intere collettività che si identificano in un culto loro specifico, siano comunità urbane, o monasteri, o vescovadi. A questo punto, però, ne emerge anche un forte valore politico, perché il possesso di reliquie comporta la sacraIizzazione e legittimazione del potere, e garantisce la pace e la stabilità dei regni, come dimostra l'acquisizione del legno della Croce da parte di santa Radegonda (520-587). Con la crisi dell'impero carolingio si assiste a una regionalizzazione dei culti e delle reliquie, cui segue una proliferazione dei santi nei secoli X e XI, tanto che alla fine le reliquie appaiono come un elemento indispensabile per le comunità, alle quali esse portano innumerevoli benefici, come apportano ricchezza e potere a coloro che le gestiscono, tanto che è possibile per Edina Bozóky di tracciare "une histoire du pouvoir par le reliques" (p. 72).
All' origine di questa storia del potere attraverso l'uso delle reliquie vi è il modello bizantino, a partire da sant'Elena e Costantino, che accompagnarono la scoperta del legno della vera Croce con numerose fondazioni di chiese in Palestina. Questa attività e le leggende che sorsero portarono alla nascita e al diffondersi di una ideologia imperiale, che nel simbolo della Croce poneva la protezione celeste sulle imprese dei sovrani, e garantiva loro la vittoria nelle battaglie. Questa ideologia fu poi ripresa in Occidente in età carolingia. Qui le reliquie più importanti furono in origine quelle degli apostoli, nella Roma del IV secolo, quando papa Damaso (366-384) cominciò a ricercare nelle catacombe i nomi dei martiri. Con la nascita dei regni, protagonisti nell'acquisizione di reliquie diventarono i re: a questo proposito l'Autrice segue l'utilizzazione delle reliquie per sostenere il potere politico dei re francesi, da Clodoveo a Luigi IX, soffermandosi particolarmente sulla collezione di reliquie effettuata da Carlo Magno per la cappella palatina di Aquisgrana, anche se la leggenda che ne narra i particolari risale alla fine dell'XI secolo (p. 136). Per i re di Francia, d'Inghilterra o di Spagna, "La concentration d'un trésor de reliques contribua à la sacralisation de leur pouvoir" (p. 139). Naturalmente ciascun'area geografica è analizzata nelle sue specificità: per la Spagna la "inventio" del corpo di san Giacomo Maggiore si legò all'ideologia della regalità spagnola e della Reconquista; in In­ghilterra prevalsero culti di re, come sant'Edmondo e sant'Edoardo confes­sore, che fu alla base della ideologia regale e del potere dei Plantageneti:
Enrico II ne ottenne nel 1161 la canonizzazione, e, benché fosse stato egli il mandante dell'assassinio di Tommaso Becket nel 1170, non esitò a mettersi sotto la protezione di questo nuovo santo (p. 162).
Le reliquie furono anche "marqueurs de pouvoir territoriale" (p. 171): i culti furono al centro dell'attenzione dei poten laici locali, che cercarono di accaparrarsele per mostrare la forza della loro autorità, e sacralizzare con esse le nuove fondazioni di chiese e monasteri privati. La Bozóky nota qui un gap cronologico tra gli avvenimenti narrati, che risalgono ai primi secoli del Medioevo, come il caso delle reliquie di san Furseo, e la loro narrazione che si data spesso a diversi secoli dopo (per san Furseo le Virtutes S. Fursei del IX o XI secolo). Da ciò la creazione di una serie di topoi narrativi relativi alle reliquie, che ricorrono in questi testi, come la nave senza marinai che porta un corpo santo, o il suo affidamento a un carro trainato da buoi senza conducente per stabilire dove il santo volesse essere sepolto. C'è in questi racconti la consapevolezza della forza attuale e perpetua dei corpi santi (peraltro sottolineata negli studi di Patrick Geray), che anche in caso di furto accettano o non di essere rubati, a seconda del culto che loro viene tributato. È il caso del corpo di san Metrone che scompare dalla Verona del X secolo e di ciò Raterio accusa i Veronesi proprio per non averlo abba­stanza venerato (caso piuttosto famoso, non presente nel libro della Bozóky, come assenti sono molti altri casi di culti italiani).
Naturalmente la diffusione di culti locali riflette la crisi dell'impero carolingio, con signori laici che fanno santificare personaggi locali, che diventano i naturali patroni di quei luoghi (p. 180). In qualche caso c'è il fenomeno della apostolicità ricercata o attribuita a questi santi marginali: Edina Bozóky segnala il caso di san Marziale, di cui viene riscritta la Vita per farne un contemporaneo di san Pietro, così come - soprattutto nel X secolo - si trasforma "una serie di santi in altrettanti emissari di san Pietro" (Poulin): lo stesso processo che si ritrova in Italia a Pavia o a Reggio Emilia. Il successo di questo meccanismo, produce poi un'avida ricerca di reliquie da parte dei signori locali, usate per la rappresentazione e la messa in scena del potere, con cerimonie solenni alle quali partecipa sempre, secondo l'Autrice, una moltitudine di persone: soprattutto la gente umile, i poveri, le donne, ai quali il più delle volte i santi si rivelano, secondo un diffuso clichè letterario. Questo fenomeno è presente in particolare nelle città italiane dopo il Mille, come occasione di emancipazione urbana. Qui la Bozóky cita i casi ben noti di san Geminiano di Modena (rro6), di sant'Ansano di Siena (rr70), e dei martiri padovani (II 77), conosciuti prevalentemente sulla base di una storiografia di lingua inglese (Diana Webb, Augustin Thompson), e gli atti del convegno organizzato da André Vauchez su lA religion civique nel 1994· Sfugge invece all'Autrice il problema dei conflitti che sorsero - so­prattutto nel XII secolo - proprio intorno al possesso delle reliquie tra pote­ri diversi, come i casi di Reggio Emilia, per il corpo di san Prospero, di Ravenna per quello di sant'Apollinare, e di Bologna per quello di san Pro­colo, così come è assente in lei la consapevolezza della crisi che questo sim­bolo subì, proprio in conseguenza dell'eccessiva utilizzazione e strumentaliz­zazione, a partire dalla società comunale. Intendo dire che se nella presenta­zione e descrizione del soggetto nella sua origine e fenomenologia il libro è ampio e documentato, seguendo ne le rappresentazioni letterarie ed artistiche (i reliquiari), e individuandone le valenze storiche e simboliche, esso non ne coglie gli aspetti dialettici e conflittuali, presenti sia nell'alto medioevo che, soprattutto, nei secoli dopo il Mille. Quella della Bozóky è una prospettiva di crescita continua che ha il suo apice nella cura di questo aspetto della sacralizzazione del suo potere nel re di Francia Luigi IX, il santo, grande accaparratore di reliquie, ma che trascura i mille segni di dissenso più o meno evidente presenti nella canonistica, per un uso attento di questi fattori, così come nell'agiografia e nella trattatistica. Stranamente non ricorre mai in tutto il volume il nome di Guiberto di Nogent, che, sia pure in un'ottica polemica, mostrava all'inizio del XII secolo una consapevole critica verso i pegni dei santi e la loro strumentalizzazione.
Libro interessante, ricco, aggiornato, ma libro a tesi, stretto sull'argomento del titolo, in una concezione della religione e delle reliquie come instrumentum regni sempre presente (pur se con forme diverse) nell'alto e pieno Medioevo, forse da ripensare in termini più critici, sia sulla reale presa nei vari strati della popolazione (come non ricordare i nobili pavesi che appellavano il corpo di san Colombano portato a Pavia dai monaci di Bobbio per rivendicare i possessi dell'abbazia "ossa caballina vel asinina"?), sia sul significato profondo - antropologico verrebbe da dire - dell'uso di questi poveri resti mortali, assurti a un uso magico, di amuleto, in una religione rimasta fatalmente alla superficie e non entrata nel profondo delle anime nella sua valenza spirituale. Così se è sempre presente il punto di vista di chi promuove questi culti, solo qualche volta (e in termini troppo generali) si volge lo sguardo sui loro destinatari. E, infine, ci si chiede se la politica delle reliquie esaurisce la loro valenza, o non ne è che uno degli aspetti, forse il più appariscente, e se oltre ad esso non fosse stato il caso di andare anche oltre, per capire a quali esigenze profonde dell'animo umano il ricorso ai culti rispondesse, o a quali problemi delle diverse società corrispondesse. Una ricerca questa, però, che solo su singoli casi sarebbe stata possibile, e non in un quadro così ampio e complesso quale Edina Bozóky ha inteso comporre con questo libro, che proprio perché valido e ben fondato abbiamo avuto la presunzione di discutere in alcuni suoi aspetti.


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