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TH n°100 L'ÉXÉGÈSE DE THÉODORET DE CYR

TH n°100 L\'ÉXÉGÈSE DE THÉODORET DE CYR

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Date d'ajout : mercredi 19 août 2015

par Manlio SIMONETTI

REVUE : RIVISTA DI UMANITA CLASSICA E CRISTIANA, Anno XVIII,1997

Fino a non molto tempo fa Teodoreto era di fatto apprezzato, nell'àmbito degli studi sull' antico cristianesimo, soltanto per la posizione assunta e l'attività svolta nel contesto della controversia cristologica della prima metà del V sec., in opposizione a Cirillo e a Eutiche ; per il resto, che è dire soprattutto per l'ampia attività esegetica da lui svolta sistematicamente lungo l'arco di più di una trentina d'anni, egli veniva considerato soprattutto un buon raccoglitore e sintetizzatore di cose già dette da altri, soprattutto appartenenti all'ambiente antiocheno. Ormai questa valutazione critica appare superata: il recente val. di Silke-Petra Bergjan ha richiamato l'attenzione sulla posizione assunta da Teodoreto in àmbito di teologia trinitaria; ma è soprattutto in àmbito esegetico che le vecchie radicate convinzioni sono state addirittura ribaltate da una serie di studi parziali in buona parte dovuti a Guinot, e questo studioso ha ora coronato il suo lungo studio sull'esegeta antiocheno col poderoso vol. che qui presentiamo e di cui va rilevata innanzitutto l'inusitata mole : e va sùbito precisato che mai il vecchio adagio callimacheo suonò più falso che a proposito di questo val., la cui estensione, circa 900 pagine, lungi dal significare prolissa verbosità, significa capacità di trattare a fondo un forte argomento e di studiare una produzione letteraria di notevole ampiezza in modo completo e sistematico. Teodoreto scrisse molto di esegesi, nelle forme del commentario e delle quaestiones, e il grande interesse con cui questi testi furono in antico letti e apprezzati ha fatto sl che quasi tutti giungessero fino a noi: tutta questa materia è stata oggetto, da parte di Guinot, di uno studio completo quanto alle forme e ai contenuti, ai contesti storico e culturale, alla critica del testo e delle fonti, in cui analisi e sintesi s'integrano felicemente.
Nel cap. iniziale gli scritti esegetici di Teodoreto vengono ripercorsi cronologicamente (pp. 48-63), al fine di fare ordine in una questione difficile a causa della scarsezza di dati precisi: la sequenza dei commentari viene scaglionata tra il 433 e il 447, mentre dopo il 451 sono collocate le quaestiones. Successivamente, tra le motivazioni che allora spinsero l'autore a tanta attività viene collocata in evidenza molto più di quanto si faccia abitualmente la finalità di affiancare col riscontro esegetico la posizione assunta nel dibattito cristologico (pp. 67-68). La successiva lunga trattazione sul profetismo (pp. 77-165) è funzionale all'illustrazione di un'attività esegetica che si è esercitata in larga parte proprio sui profeti: la rigida concezione che gli antichi ebbero dell'ispirazione, per cui il profeta era considerato essenzialmente lo strumento della volontà divina, viene studiata sia nei modi sia negli effetti della rivelazione, che si manifesta in forme diverse ma è unitaria nel suo sviluppo e non ammette livelli diversi di valore (pp. 105-110), diversamente da quanto aveva proposto in materia Teodoro di Mopsuestia. Le pagine dedicate alla chiarezza e oscurità della Scrittura rilevano, accanto a considerazioni di carattere storico tipicamente antiochene, quanto Teodoreto sia stato influenzato anche dalla tradizione alessandrina (intenzione pedagogica dell'oscurità, esigenza di ricercare un senso nascosto, ecc.) (pp. 154- 164). Il cap. dedicato alla critica testuale (pp. 157-252) chiarisce una quantità di dettagli riguardanti uno degli aspetti per i quali l'esegesi di Teodoreto si fa più apprezzare: accertamento che l'indicazione del « Siriano » va riferita non a un'altra, anonima trad. in greco del testo dell' AT, com'è stato ipotizzato, bensi alla trad. in lingua siriaca, ben conosciuta da Teodoreto, che era in grado di orientarsi un po' anche col testo ebraico; diversità del testo di base dei LXX usato da Teodoreto rispetto a quello esaplare, cui pure l'esegeta ha fatto ricorso, e validità di almeno alcuni segni diacritici contro !'ipotesi di Ziegler; indipendenza della critica testuale di Teodoreto rispetto a quella di Origene, dipendenza soltanto parziale da Eusebio, probabile utilizzazione di un esemplare glossato della Bibbia, cioè fornito in margine di varianti degli altri traduttori rispetto al testo dei LXX. Il cap. V, dedicato all'illustrazione del metodo esegetico di Teodoreto (pp. 253-322), affronta il problema centrale della sua esegesi, quello su cui più avevano insistito, di recente, vari studiosi: la conferma che l'indirizzo ermeneutico di Teodoreto ha rappresentato un distacco dalle posizioni estremiste di Diodoro e Teodoro al fine di recuperare un consistente spessore cristologico all'interpretazione dell' AT (« Jésus-Christ est la clef véritable des Écritures, celle sans la quelle elles demeurent scellées [p. 255] ») si ha qui sulla base di un'analisi condotta lungo tutto l'arco dell'esegesi teodoretiana e perciò in modo esaustivo, tale da definire una quantità di dettagli: mi limito a rilevare la precisione con cui vengono distinte una rispetto all'altra la lettura genericamente metaforica da quella tipologica, quella cioè che assume la concezione, d'origine paolina, che l'AT è figura del NT (pp. 306ss.), e per altro la difficoltà, a volte, di distinguere tra interpretazione metaforica e interpretazione allegorica (pp. 300-303). Il successivo lunghissimo cap. VI (pp. 324- 464) tratta della struttura del commentario teodoretiano (importanza dell'hypòthesis che sintetizza inizialmente l'argomento del libro che viene interpretato, ripartizione in lemmi, interpretazione lineare) e delle discipline ausiliari dell'interpretazione, in primo luogo la storia, fondamento dell'interpretazione letterale e massimo elemento qualificante dell'esegesi antiochena rispetto a quella alessandrina, e poi grammatica e stilistica, e ancora geografia, scienze e altro. La terza parte di questo cap., che tratta della determinazione e della scelta del senso dell'interpretazione e che perciò mi sembrerebbe più pertinente all'argomento trattato nel cap. precedente, esamina i vari casi in cui Teodoreto propone due interpretazioni per uno stesso passo scritturistico, o due letterali o due figurate o una letterale e una figurata  è uno dei punti in cui Teodoreto più si accosta al modo alessandrino di far esegesi, e perciò viene trattato da G. con grande precisione, per mettere in rilievo che, anche quando raramente l'esegeta propone due interpretazioni figurate, egli resta sempre ben lontano dall'orizzonte mentale degli alessandrini: il rifiuto dell'interpretazione letterale viene determinato essenzialmente da ragioni storiche, e la scelta del senso è determinata dall'applicazione di tre 'regole' fondamentali : akoluthìa (coerenza del contesto scritturistico), harmonìa (coerenza con i fatti storici), symphonìa (di fatto sinonimo del precedente, a indicare la verifica dell'interpretazione col testo) (pp. 460-462).
I due successivi capp. trattano di alcuni aspetti dei contenuti dell'esegesi di Teodoreto, il cap. VII di quello polemico, il cap. VIII di quello cristologico. La polemica svolta da Teodoreto nei suoi commentari ha un triplice obiettivo: pagani, giudei ed eretici. Quella contro i pagani (pp. 466-484) ha la sua ragia n d'essere nelle tenaci persistenze dei culti tradizionali nonostante le minacce della legislazione, di fatto largamente inoperanti soprattutto in zone lontane dalle grandi città, e sviluppa in direttrice, sia specificamente esegetica sia più direttamente teologica, i tradizionali temi della critica antiidolatrica e antidemonologica. La critica antiidolatrica si estende pure, sulle tracce della denuncia dei profeti, a danno dei giudei (pp. 484-522), ma qui ovviamente la tematica è ben più complessa e questo tipo di polemica occupa molto più spazio nella pagina teodoretiana : vi ricorrono temi largamente tradizionali, dalle accuse per l'ostilità dei giudei riguardo a Cristo e alla Chiesa, meno comunque insistite rispetto a molti altri autori anche di area antiochena, alla ripresa del motivo del trasferimento della promessa divina dai giudei ai cristiani e alla polemica sull'interpretazione dell' AT, di cui i giudei non hanno inteso, nel loro gretto letteralismo, la dimensione messianica realizzatasi in Cristo: e qui Teodoreto ha di mira non soltanto i giudei veri e propri ma anche, e a volte soprattutto, certa esegesi antiochena eccessivamente letteralista (Teodoro). La polemica antieretica (pp. 522-562) si concentra soprattutto contro gnostici e marcioniti e contro ariani e affini con maggiore cura di dettagliare e scendere nel particolare rispetto alle altre polemiche, si che ci si chiede quale finalità e attualità le si possa attribuire, soprattutto considerando l'assenza, almeno in forma palese, di riflessi della polemica cristologica allora in atto: sarebbe stato agevole per Teodoreto attaccare Cirillo attraverso Apollinare, ufficialmente condannato da ormai alcuni decenni, eppure Apollinare è ben poco presente nei commentari teodoretiani. G., fatto salvo il tributo pagato dall'esegeta alla tradizione, rileva che tutte le eresie, quale in un modo quale in un altro, attentavano alla fede nella divinità del Logos e nella realtà dell'incarnazione (p. 560), e lo studio della Scrittura doveva mirare a combatterle corroborando questa fede: ma Cristo era al centro del dibattito allora attuale, si che, sia pur indirettamente, anche la polemica contro le diverse eresie interferiva in esso. Da questo argomento a quello cristologico il passaggio è quanto mai naturale, e G. ne tratta nelle pp. 563-629, prima presentando un breve ma denso quadro della controversia cristologica nel V sec. e poi più estesamente i principali concetti che si ricavano dall'insieme della produzione esegetica teodoretiana, i quali confermano quelli che dalle opere più direttamente impegnate nel dibattito conosciamo come i caratteri distintivi della cristologia di Teodoreto : fedele aderenza all'affermazione delle due nature di Cristo, fondamento irrinunciabile della cristologia antiochena in senso antiariano e soprattutto antiapollinarista ; affermazione dell'unità personale delle due nature nel Cristo incarnato, con cura e precisione che tengono conto di quanto di approssimativo e troppo generico era stato affermato in argomento da Teodoro, Nestorio e altri prestando cosi il fianco alla critica di Cirillo. L'ultimo cap. del val., il più lungo (pp. 631-799), tratta nel modo più analitico possibile delle fonti dell'esegesi di Teodoreto, passando in rassegna, con minuzioso esame, tutti i passi degli scritti esegetici teodoretiani in cui l'autore fa riferimento ad opinioni proposte da « alcuni » (τινεζ) con vario atteggiamento, a volte per accettare, molte altre volte per criticare, a volte per presentare senza prendere posizione. L'esame è condotto tenendo conto, passo per passo, sia delle interpretazioni comunque conosciute, in ambiente orientale, di quel dato testo scritturistico, sia cercando di risalire a quella o quelle che possono essere state le fonti dirette che Teodoreto ha avuto a disposizione. La conclusione che G. trae da questo autentico tour de force appare piuttosto riduttiva : senza ovviamente mettere in dubbio che in casi singoli Teodoreto abbia avuto a disposizione fonti specifiche solo qualche volta precisabili o ipotizzabili, egli appare tributario soprattutto delle Questioni sull'Ottateuco di Diodoro di Tarso. A questo punto un'articolata conclusione, richiamando le linee fondamentali del lungo discorso finora svolto, rileva la metodologia di Teodoreto, messa a punto tramite i primi tre commentari, al Cantico, a Daniele e a Ezechiele, e poi sempre applicata con rigore, coerenza e unità, e tradotta in pagine scritte con stile sempre sobrio e chiaro, a beneficio della comprensione da parte di tutti. Nel rapporto con le precedenti tradizioni esegetiche, questo metodo ermeneutico si fa apprezzare per l'equilibrio e la moderazione con cui la fondamentale aderenza ai moduli antiocheni si concreta in un modo di fare esegesi meno rigido e stretto rispetto a Diodoro e Teodoro, in quanto meno schiavo delle dichiarazioni programmatiche e meno sensibile ai riflessi polemici, e invece molto più aperto al significato messianico, che è dire cristologico, dell' AT. Ne risulta che, pur se nei commentari quasi mai Teodoreto ha occasione di accennare a dettagli di carattere personale, attraverso la sua pagina emerge non soltanto l'uomo di chiesa coi suoi interessi teologici e pastorali, ma l'uomo tout court, fondamentalmente moderato, « un tempérament moins passionné que cérébral, un esprit moins émotif et imaginatif que rationaliste » (p. 826). Per concludere questa quanto mai sommaria presentazione, va ancora ricordato che ognuno dei nove capp. in cui l'ampia materia trattata è ripartita è a sua volta suddiviso in numerosi paragrafi e sottoparagrafi, si che l'indice generale, che è collocato all'inizio, prima dell'esaustiva bibliografia, dà un'idea precisa dello svolgimento del discorso e dell'articolazione dei vari argomenti trattati. Alla fine, invece dei tradizionali indici, c'è una serie di cinque « annexes »: il primo elenca tutti i riferimenti a passi delle opere teodoretiane interessanti sotto l'aspetto della critica testuale in riferimento al testo ebraico, ai LXX, agli altri traduttori, e altro ancora; il secondo elenca tutti i termini tecnici d'interesse esegetico; il terzo è dedicato a termini d'interesse lessicografico; il quarto e il quinto elencano termini che interessano, rispettivamente, paganismo ed eresie e la cristologia.
Ritengo che questo ragguaglio, per quanto cursorio, possa essere sufficiente a dare una qualche idea della ricchezza del val. di G., idea per altro soltanto approssimativa e inadeguata in quanto, come ho già ricordato, il suo pregio maggiore sta nell'analisi e, per conseguenza, nella miriade di dettagli d'ogni genere che esso mette a disposizione dello studioso e che può essere pienamente apprezzato soltanto da chi affronta a sua volta lo studio di Teodoreto. Ben pochi i rilievi e in buona parte concentrati nella parte iniziale del cap. dedicato alla cristologia, per il quale G. è tributario di una bibliografia specifica ormai ben collaudata, eppure in molti punti eccessivamente schema tic a e perciò approssimativa: mi sembra riduttivo compendiare la cristologia di Diodoro, il primo importante avversario di Apollinare, nello schema logos/sarx (p. 569), considerando soprattutto che di lui possediamo soltanto frammenti; e l'affermazione (ibid.) che Teodoro arriva, anche se maldestramente, ad affermare in Cristo un solo soggetto d'attribuzione e d'adorazione non tiene conto di opere, quali il Commento a Giovanni, in cui a ogni piè sospinto vengono affermati dell' Incarnato due distinti soggetti. In effetti le sventure di Nestorio non furono provocate dalla sua utilizzazione « peu circonspecte » (p. 571) delle formule di Diodoro e Teodoro, perché in sostanza egli fu meno divisivo in cristologia di quanto non lo fosse stato Teodoro e la sua sfortuna derivò soltanto dall'essere stato vescovo di Costantinopoli e perciò avversario politico, più che teologico, di Cirillo. Quanto a quest'ultimo, non mi sembra molto esatto affermare, sulla traccia di de Durand, che egli avrebbe rinunciato progressivamente alle formule dell'ενωσιζ e dell'unione χαθ υποστασιν a beneficio dell'ενωσιζ ασυϒχυτοζ quale espressione caratterizzante dell'ortodossia (p. 574). Questa precisazione infatti non tiene conto che il Cirillo successivo al Patto d'unione, quello delle fondamentali lettere a Succenso, sarebbe tornato addirittura ad affermare, come caratterizzante dell'ortodossia, la formula della μια φυσιζ σεσαρχϖμενη. Il rilievo che Teodoreto, per esprimere !'incarnazione, fa usualmente ricorso alla terminologia dell'homo assumptus, che apparteneva al linguaggio tradizionale della cristologia (p. 382), sembra non tener conto che questa terminologia veniva rifiutata da Cirillo, si che l'averla Teodoreto conservata acquista più forte significato. A proposito dell'uso, da parte di Teodoreto, dell'epiteto cristologico Emmanuele (p. 598), sarebbe stato opportuno ricordare che questo epiteto era il prediletto da Cirillo; e anche a proposito dell'uso, da parte di Teodoreto, del concetto di «appropriazione» (p. 610), andava rilevato che si trattava di terminologia tipicamente cirilliana.
Ho già rilevato la precisione con cui G. discute, a proposito di Teodoreto, della terminologia esegetica, tema quanto mai spinoso perché in argomento vige tuttora la più completa confusio linguarum: ma proprio per questo avrei preferito maggiore decisione nel rilevare quanto c'era di equivoco e surrettizio nella sostituzione, da parte degli antiocheni, di «metafora» in luogo di « allegoria » : per es., a proposito di [ero 9,21 « la morte è salita attraverso le vostre finestre », Teodoreto definisce metaforica l'interpretazione che assume le finestre a simbolo dei cinque sensi (p. 451) ; ma l'interpretazione è origeniana, derivando da homo Canto 2,12, e nessuno esiterebbe un istante a definire questa interpretazione, in Origene, allegorica, col risultato che la stessa interpretazione verrebbe diversamente definita a seconda che venga adottata da un alessandrino ovvero da un antiocheno. G. è molto attento a rilevare quanto dell'esegesi di Teodoreto è tributario della tradizione, ma qui qualcosa si potrebbe ancora aggiungere. Per es., come per i LXX Teodoreto riprende il dato tradizionale del carattere ispirato della traduzione (p. 124), egli è altrettanto nel solco della tradizione augurandosi di essere soccorso, nell'interpretazione del testo profetico, dallo stesso profeta (ibid.). Nell'uso di ypaµµa prevalentemente con connotazione peggiorativa (p. 283) Teodoreto si rifà a un uso abituale ad Alessandria, e ciò vale anche per la terminologia « carnale/ spirituale » (p. 294) e per l'uso di σχια (p. 312), tanto caro a Origene. Là dove invece G. rileva l'eredità della tradizione nell'uso, per altro non sovrabbondante, in Teodoreto, dell'esegesi etimologica (p. 358), andava rilevato che, a partire da Eustazio, gli antiocheni avevano espresso la loro disapprovazione riguardo a questo procedimento ermeneutico tanto in voga presso gli alessandrini, sl che la sua sia pur limitata presenza in Teodoreto acquista maggiore significato ; e a p. 255, a proposito di Cristo chiave delle Scritture, meraviglia non poco vedere annoverato, tra i rappresentanti della lunga tradizione patristica, anche Teodoro di Mopsuestia, di cui anche G. ha occasione di rilevare più volte il radicale riduzionismo della presenza di Cristo nell'AT. A p. 307 e altrove G. fa uso normale di « antitipo » per indicare la realizzazione della profezia, del rypos : so bene che si tratta di uso ormai abbastanza diffuso, ma non per questo mi appare meno arbitrario in quanto αντιτυποζ ha in greco il significato di « immagine », cioè lo stesso significato di τυποζ. A p. 73 G. parla di Teodoreto come dell'ultimo rappresentante di una linea di esegeti famosi « qui se réclament du patronage lointain de Lucien d'Antioche » : ma l'origine lucianea della cosiddetta scuola antiochena è una trovata soltanto moderna, che non trova appoggio nella documentazione antica. A p. 100 un paragrafo del cap. su Teodoreto e il profetismo è intitolato « L'extase », ma dalla trattazione non risulta che Teodoreto abbia effettivamente fatto uso del termine εχτασιζ : dato che tale termine risultò molto screditato in conseguenza della controversia montanista e perciò molti autori si astennero dall' adoperarlo a significare lo stato psicologico ora comunemente definito come «estasi», sarebbe stato opportuno che G. specificasse se Teodoreto abbia, o no, fatto uso del termine in tale accezione. A p. 634 vengono ricordati gli αλλοιδε τιυες che, a dir di Teodoreto, avevano interpretato in modo profano il Cantico prima di Teodoro : grazie al Didimo di EccI. T 6,13ss. possiamo ora dare nome a uno di essi, l'ariano Seras, vescovo di Paretonio. Come si vede, si tratta di rilievi quanto mai marginali, per cui non ho alcuna remora a terminare questa breve presentazione confermando una valutazione quanto mai positiva di un'opera che - possiamo dirlo una volta tanto - fa veramente onore ai nostri studi.


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